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Insula Porcaritia, secondo molti studiosi, e’ il nome originario di Isola Rizza. I due termini indicano l’ubicazione dell’abitato e le attività dei primitivi colonizzatori: Insula, luogo aperto e asciutto tra boschi e paludi, come molte “isole” del basso Veronese e di altre zone silvestri e acquitrinose; Porcaritia etimologicamente “recinto di porci” e, in senso più lato “zona agricola con allevamento di bestiame” indicata talora anche con il termine “mansus”, piccolo abitato fra campi coltivati. E’ un tardo latino dal quale è derivato il nostro “Porcarizza” con fenomeno simile a quello di “riccio”, “rizzo”. A. Pettenella collega addirittura Porcaritia con il dialettale “porcorizzo”; M. Franzosi, invece accoglie la teoria del Bennassuti che spiega il termine “porca” con il significato di “canale” e “Ritia” come forma sincopata di “Richentia”. Isola del canale Richenza, dunque, dal nome della regina moglie di Lotaro secondo del Tirolo, re di Germania, d’Italia e imperatore dal 1133 al 1137. Discesi in Italia nel 1137 , i coniugi imperiali avrebbero sostato nell’antica dogana perchè provenienti dalla Romagna, vennero per il Po nell‘Adige, e per questo ad Isola Rizza. Qui si fermarono più giorni, accomodando le liti di quanti vi accorrevano e dispensando diplomi o tenendo placiti, come scrive l’Ugelli. La munifica imperatrice in quell‘occasione, avrebbe contribuito alle spese per lo scavo del canale che da allora si chiamò Canale Richenza. Anche il Muratori, negli “Annali”, scrive di un imbarco in un punto del Basso Adige, sul Veronese per raggiungere il Po. Solamente quando fu costruito il Busse’, nel 1199 il Richenza, probabilmente, perse importanza. I documenti, peraltro, non ci autorizzano a far risalire l‘uso del toponimo prima del Mille. La bolla di Papa Eugenio terzo, in cui compare per la prima volta il nome di Insulae Porcharitiae, porta la data del 1145 e ci parla di un pieve ben organizzato, con cappella, diritti di decima e la “corte”. Le zone acquitrinose favoriscono nei secoli lo sviluppo della coltura del riso. E’ del 1535 lo stemma situato ai piedi del campanile della chiesa parrocchiale: raffigura una scrofa che tiene in bocca un mazzo di spighe di riso. Nel 1872 però, gli Isolani, seguendo l‘esempio di Porcile divenuto Belfiore, mutarono l‘antico toponimo, ritenuto troppo rusticano, in Isola Rizza. In quell‘occasione L.Gaiter, in un suo divertente articolo, scrisse che il maiale lamentava che non fossero più riconosciute le sue benemerenze nel corso dei secoli. Nel 1932 però, quando il Comune fece il suo stemma, riprese proprio l’immagine della feconda scrofa con riso in bocca. Per la sua posizione geografica, nella pianura delimitata dall‘Adige e il Menago, con il Bussè a Sud è attraversato dal Piganzo, questo territorio seguì le fasi geologiche della “Padania”. La pianura si era formata per le enormi quantità di detriti e massi trascinati dall‘acqua dei ghiacciai che si scioglievano. Il periodo epocale, lungo centinaia di migliaia di anni, corrisponde all’era quaternaria. Prima che l‘essere umano vi comparisse, questa terra aveva quasi cinque miliardi di anni. Secondo degli studiosi fu occupata dai paleoveneti, probabilmente giunti da oriente, tremila anni fa. Sono del IX secolo a.C. le testimonianze archeologiche di grossi e strutturati centri abitati nella pianura veronese. Il bizzarro letto dell’Adige modificò più volte la sua posizione. Il suo corso nel I millennio a.C. bagnava il territorio di Oppeano e di Isola Rizza. Si considerano sedimenti delle sue acque, la larga striscia sabbiosa e i rilievi che ancora oggi si chiamano Dossi, Sabbioni, Sabbionare, Montara. E’ un’ampia e lunga zona sulla destra del Bussè e del Piganzo, rilevata sulla terra valliva, in genere arida e sabbiosa con le stesse caratteristiche del grande piano terrazzato intorno a Verona, del quale rappresenta la parte terminale verso oriente. La palude attorno era coperta da fitta boscaglia e sui bordi si erano stanziati nell’età del bronzo (II millennio a.C.), i palafitticoli. Nel nostro territorio la civilta’ paleoveneta atestina (da Athesis, Adige) ebbe il periodo di maggior sviluppo nei secoli VII e VI a.C. Attraverso lo scalo greco di Adria, lungo il corso dell’ Adige, gli atesini giungevano influssi e materiali delle civilta’ orientali e mediterranee. Luciano Balzani scrive che interessanti documentazioni archeologiche dell’ eta del ferro sono concentrate lungo i dossi che da Oppiano vanno verso Isola Rizza (8) area situata lungo l’ antico corso dell’ Adige.La fase iniziale dell’età del ferro, corrisponde al I periodo atestino (X, IX secoloa.C.) e’ testimoniata a Isola Rizza da un’urana biconica con presetta sulla carena “rinvenuta nel 1949 in localita’ Pieve, dove e’ stato individuato un abitato non ancora esplorato (9). Vi sono altri ritrovamenti casuali , attribuiti al VI secolo a.C. come il resto di un’ ansa bronzea con testa di bovino, di gusto etrusco. i reperti sono conservati presso il Museo di Storia Naturale e Archeologico di Verona. I villaggi atesini erano adagiati su dune sabbiose circondate da estesi boschi, pascoli e aree paludose. I ritrovamenti di abitati sono rari poichè le capanne , costruite con materiali deperibili, erano soggette alle frequenti alluvioni e agli incendi.Gli atesini erano abili costruttori di vasellame, tessitori, agricoltori, pescatori, cacciatori e artisti nella lavorazione del bronzo. I riti religiosi erano svolti in “Santuari” all’ interno dei boschi, in prossimita’ di acque e fonti o presso luoghi di mercato; vi si svolgevano sacrifici animali e libagioni. I corredi funerari rivelano un interessante culto dei morti.Verso la fine del IV e nel III secolo a.C. i centri paleoveneti persero di importanza e si verifico’ una costante penetrazione di genti celtiche. La necropoli di Casalandri ( dal III al I secolo a.C.), documenta la presenza di un loro vasto insediamento. Fu scoperta nel 1982; ha dato alla luce ben centoundici tombe, in tre campagne di scavo (1982-1984). Balzani e’ convinto che, per la presenza di edifici buona parte delle sepolture sia rimasta inesplorata.E’ presente il biritualismo: inumazione e incenerimento. I corredi sono ricchi di vasi e vernice nera, armi, monete, tazze, fibule e perle di pasta vitrea con fasci decorativi a elica tipicamente celtici dei gruppi transalpini. Le monete , necessario pedaggio agli dei per l’ aldilà, sono romane:assi, semiassi di bronzo, un Vittoriano. La loro presenza attesta un significativo stadio di romanizzazione simile a molte altre necropoli celtiche trovate in territori sotto l’ influsso delle civiltà etrusca e romana. I veneti avevano preso dagli etruschi l’ alfabeto(10). Con la discesa dei Celti, nel IV secolo a.C. i contatti etruschi cessarono. Lo storico Polibio nel II secolo scrisse chi i veneti erano poco dissimili dai Galli “per cultura” per il modo di abbigliarsi e ricorda una alleanza del 225 a.C. di Galli Cenoromani e Veneti coi Romani. I Celti(cosi i galli chiamavano se stessi) erano guerrieri alti e biondi, combattevano coperti solo da calzoni e portavano al collo una specie di collare(torques).Bottai , contadini, orefici, fabbri, questo popolo temutissimo sapeva vivere anche in modo pacifico. Il territorio veronese fu interessato dall’ occupazione di gruppi celtici della famiglia dei Cenomani; si stabilizzarono in un’ area dove anche la civiltà romana si stava inserendo in modo graduale e pacifico. La costruzione di due strade romane, la Postumia e la Annia, rispettivamentenel 148 e nel 131 a.C., fu determinante. Si crearono le condizioni per i traffici economici tra Roma e la pianura Atestina. Si rese utile l’ uso della lingua italiana e, nell’ arco di quasi duecento anni, dall’ inizio del II secolo alla metà del I a.C., avvenne una lenta assimilazione della cultura romana. La romanizzazione si compì tra il 49 e il 42 a.C., quando tutti gli abitanti del territorio tra le alpi e il Po furono riconosciuti cittadini dello stato romano. Di questa epoca alcuni ritrovamenti casuali fatti durante lavori agricoli o edilizi. Nel 1733 fu rinvenuta sotto il pavimento della chiesa parrocchiale un ‘ iscrizione funeraria di M. Ladavonius e della moglie Sempronia Prima, databile entro la prima metà del I secolo d.C., ora presso il museo Maffeiano di Verona. Un’ anfora e una moneta, sempre del periodo romano, conservato al museo Archeologico di Verona(11), furono trovate nel 1909 in località Mandella, nel podere allora Bellinato.Si puo ipotizzare con A. De Bon che in epoca imperiale il territorio fosse sulla strada che congiungeva Verona con il suo “agro” passando per Oppeano, Isola Rizza, Roverchiara, Legnago, e per i fiorenti villaggi delle valli grandi veronesi(12). Probabilmente la “Via Magna” segnata in uno stradario del 1500 (13). Fiume bizzarro e capriccioso l’Adige condizionò per secoli la vita degli abitanti della bassa. Con la rotta della Cucca del 589 d.C. il suo alveo principale si spostò di qualche chilometro verso est cosi il piccolo borgo rimase lungo l’ antico corso; le vaste zone acquitrinose favorirono in seguito, fiorenti colture di riso. Con le invasioni dei barbari, quasi tutti da oriente, la valle dell’ Adige fu interessata a ripetuti saccheggi e rovine; primi i Visigoti con Alarico, poi con gli Unni col feroce Attila, le orde di Odoacre, gli Ostrogoti con Teodorico. Ultimi i Longobardi che occuparono il Veneto e lo tennero a lungo con gran parte dell’ Italia (568-774); trascurano le istituzioni romane imponendo nuovi ordini politici, amministrativi e militari che determinano la piena decadenza delle industrie e dei traffici, accentuando lo spopolamento. Dell’epoca longobarda è la storia leggendaria narrata dal Bennassuti (14) secondo la quale nel 573, ucciso il rè Alboino, la regina Rosmunda con il drudo Elmichi fuggì da Verona col tesoro reale. Diretta a Ravenna sostò nell’ antica dogana di Isola Rizza, da qui si imbarcò per l’ Adige e da questo in Po. Mentre si caricava il natante,”una comitiva involò una piccola parte di quei tesori …. E la nascose sotto terra”. In realtà fu trovato davvero un tesoretto longobardo di particolare interesse, come afferma O. Von Hessen (15) che data il ritrovamento nell’ inverno del 1873. Documenti recenti fanno invece risalire la scoperta al febbraio1872; fu portato a Verona nel 1873 e acquistato per il museo di Castevecchio nel 1874 (16)Giuseppe Faccini, fittavolo della campagna parrocchiale, durante i lavori di aratura, incappò in una lastra di marmo che nascondeva ben tredici pezzi, alcuni d’ oro, altri d’ argento. Sono parti di abbigliamento, monile e oggetti d’ uso di un certo lusso; due fibule d’ oro, montate su base d’ argento, placche di cintura in oro, una grossa fibbia di 182 grammi di oro massiccio (oggi scomparsa), un bacile d’ argento cesellato, sei cucchiai d’ argento, di fattura bizantina, con la scritta “Utere Felix” (usami e sii felice). Gli studiosi suggeriscono una datazione fra la fine del VI e l’ inizio del VII secolod.C.e l’ appartenenza a un personaggio importante. Sempre Von Hessen dice”è probabile che il proprietario, che poteva essere un Longobardo che un “Romanzo”, abbia sotterrato il tesoro durante i disordini dei primi decenni dell’ occupazione longobarda in Alta Italia”. (17) Solo all’ inizio del secolo VIII grazie alla conversione dei dominatori dall’ arianesimo al cattolicesimo e al diffondersi del monachesimo, si stabilirono nuovi rapporti tra barbari e italici, con segni evidenti di rinascita economica e di rinnovamento sociale. Le plebi cittadine spinte dalle miseria e dalla fame, cercarono rifugio e sostentamento nelle vaste campagne incolte, dove sorgevano anche comunità monastiche, prime fra tutte le benedettine. Anche nella nostra bassa coloni semi-liberi, alle dipendenze di enti ecclesiastici e di proprietari laici, dissodarono terrenie e allevarono bestiame, principalmente ovini e suini che , nei boschi e nelle radure, trovano abbondante pastura e le cui carni occuparono largo posto nell’ alimentazione umana (18). Gli allevatori di maiali pagavano al proprietario del suolo un tributo, detto molto significativamente “glandatico”. Sul costone sabbioso che emergeve tra i vasti terreni paludosi fu fondata in questo secolo la Pieve parrocchiale, il centro abitato, però si sviluppò a sud dello stesso rilievo, a ridosso della gia citata via Magna, poi antica strada Regia postale diventata in epoca più recente “ la Napoleonica”. Dopo la caduta dell’ impero carolingio (888), molti centri rurali, ripetutamente minacciati dalle lotte dei vari pretendenti al dominio d’ Italia e delle selvaggie incursioni degli Ungheri, erano diventati dei castra ( castelli) cioè dei luoghi fortificati, dapprima in modo rudimentale con palizzate e fossati, poi con mura e torri, che in parte esistono ancora e nei quali si rifugiavano i contadinisparsi nelle campagne. Per questo ritorno alla terra, nel X secolo, la bassa pianura, la Zosana, appare costellata, specie lungo l’ Adige da piccoli insediamenti, da “ville”, come Zevio, Ronco, Tomba, Roverchiara. E’ logico pensare che la “villa” di Isola Rizza risalga aal’ alto Medioevo, sia per il toponimo sia perche qui furono venerati i santi Fermo e Rustico, il cui culto, sorto a verona nel secolo VIII sotto il vescovo Annone, fu successivamente diffuso nella diocesi dai benedettini. La chiesetta dedicata ai due santi nella parte orientale del paese, è ricordata in vari documenti fino al secolo scorso. Nella bolla, già citata di Eugenio III, del 1145, con cui vengono confermati i privilegi del vescovo Tebaldo, Insula Porcharitia appare una pieve efficiente. Nel 1154 Federico Barbarossa con un diploma conferme i suddetti privilegi e nel 1184, in cerca di alleati e sostenitori dopo la sconfitta inflittagli dai Comuni a Legnago (1176), riconferma al vescovo Ognibene la giurisdizione sulle ville del contado, compresa Insula. Il territorio, con tutto il distretto veronese fu poi sconvolto dalla guerra tra Ezzelino da Romano, che occupò verona nel 1230, e i conti di S. Bonifacio. Il 24 Maggio 1234 brasciani e Mantovani, alleati di S. Bonifacio, diedero alle fiamme Zevio, Oppeano, Isola Rizza. Gli Scaligeri (1256-1387) imposero nuovi Statuti alla città e sottrassero al fisco cittadino, considerandole come proprietà private alcune zone del territorio, che costituirono la “Fattoria”. Qui le singole “ville” fra cui Isola Rizza, avevano come capo un “massaro” eletto dall’ assemblea degli abitanti detta “vicina” e assistito da un certo numero di consiglieri. Il distretto fu diviso in capitanati e Isola venne inclusa in quello di Zevio. Nel 1387 Galeazzo Visconti sottrasse il territorio agli Scaligeri dividendolo in Vicariati. Dopo la sua morte, nel 1403, la moglie Caterina con “mutu proprio” restituì al comune di Verona diciannove vicariati fra cui quello di Insula Porcaritia. Comprendeva sette ville: Insula Porcaritia, Ruperclaria Caselarum, Ruperclaria Fonzane, Ruperclaria Sancti Petri (Roverchiara),Tomba, Opedanum, Palus. Il primo vicario fu eletto il 13 dicembre di quell’ anno nella persona del “Nobilis ed Dicretus Vir Georgius de Citadinis” di Verona. Nel 1404 il dominio visconteo fu sostituito da quello dei Carraresi di Padova che durò solo un anno. Con l’ avvento della Serenissima (1405-1797) si intensificarono i lavori di bonifica, aumentò la popolazione rurale e migliorarono gli scambi commerciali. I nobili veronesi e veneziani, quando il governo mise all’ asta molti terreni, trovarono in questa zona ottime opportunità di colture di cereali e viti nella parte alta della terrazzata e di coltivazioni di riso nella parte valliva. Fu migliorata la rete dei canali “dugali” e “seriole” esistenti, che portava l’ acqua dall’ Adige dal Bussè e dal Menago. In questo primo periodo veneziano sorsero sui bordi della valle le piu importanti case e corti tuttora esistenti. Fra le prime quella dei Maffei in via Nova, poiché “nel 1413 Daniele Maffei della contrada di S. Benedetto di verona acquistò per 1663 ducati d’ oro dalla fattoria di Verona tutte le terre arative, prative e valline, che essa possedeva in questo distretto, compresi un mulino a due ruote e il diritto a esigere i tre quarti delle decime” come ci dice R. Scola Gagliardi. Fu ampliata la strada a sud del rilievo sabbioso di cui si è gia parlato (la Napoleonica) e lungo questa via, a quasi un chilometro di distanza dalla chiesa parrocchiale (la Pieve), si formò un nuovo centro abitato l’ attuale “piazza”. Nel suo cuore, verso la fine del 1400, fu costruita una nuova chiesa di proprietà comunale, la chiesa di S. Maria della Piazza (chiamata anche Mezzavilla). La chiesa della pieve nel 1535 fu rifabbricata per opera del parroco Leonardo Auricalco e subì poi varie trasformazioni. Intanto presso la nuova chiesa della piazza si costituirono due confraternite, con un loro cappellano, molto fiorenti anche perché ricche di mezzi: la scuola di S. Croce e la compagnia del Rosario e Cintura. Ebbe inizio una serie di contrasti e rivalità tra le due compagnie e i parroci che si protrasse, lungo l’ arco dei secoli, fino al 1900 con alterne vicende. Si dovette ricorrere all’ intervento dei vescovi. La contessa coinvolse e agitò a lungo tutta la vita del paese. Nel 1526 il massaro ed i consiglieri della villa, convocati in canonica dal vescovo Beccarla, lamentavano l’ inefficienza della Pieve. Nel 1595 l’ arciprete ricorse al vescovo contro la società della Beata Vergine dell’ oratorio della piazza, per via di una chiave che non gli veniva consegnata. (Le numerose diatribe ci appaiono talvolta divertenti, così come i villici, intraprendenti e degni di simpatia). Nel 1653 risultavano proprietari dei piu importanti fondi della villa le famiglie dei patrizi: Miniscalchi, Sagramoso, Conti San Bonifacio, Maffei, Auricalco (Recalchi), Martelli, Morando, Da Como, Mandelli. In questo periodo Fra Isola Rizza e Tomba c’erano ben 300 campi di risaia. Pestilenze e malattie endemiche nei secoli XV, XVI, XVII, furono numerose. Con la sconfitta veneziana di Agnadello anche la Pieve ebbe tempi duri: la pianura fu piu volte battuta e saccheggiata dalle bande di ogni razza. Nell’ anno 1517 un vicario veneziano, in viaggio d’ ispezione comunicava a Venezia: “Ixola Porcarezza, qual era belisima villa, adeso è ruinata” (20). Durante la guerra dei secoli XVII e XVIII Venezia, sebbene neutrale, non impedì il passaggio nel territorio di truppe straniere che spesso diffondevano la peste. Il vicario doveva intervenire spesso per controlli sanitari su animali o cibi contagiati. Nel carteggio d’ archivio vi è un elenco di vicari “qui fecerunt bona parlamenta” d di quelli che diedero cattiva prova, oltre a quattro lettere ducali che denunciavano abusi e ordinano un più severo controllo. I contadini vivevano in condizioni di miseria coltivando riso, cereali, e allevando maiali, capre, pecore. Durante le campagne Napoleoniche, nel 0796, il 10 luglio, Napoleone passò per Isola Rizza, proveniente da Legnago, attraverso la strada”Postale Regia” da allora detta la Napoleonica, e accampatosi nel vicino Vallese di Oppiano, soggiornò alcuni giorni. Nel Settembre dello stesso anno le truppe del generale Massena si spostarono da Ronco, attraverso Isola Rizza, e si scontrarono con le truppe austriache presso Cerea. Nel mese di Novembre, ad Isola, erano ancora accampate le retrovie del generale per la battaglia di Ronco e Arcole. Ancora oggi fra la gente è tramandato il ricordo dei danni portati nelle campagne e nelle ville dai soldati francesi. Le nuove idee Giacobine intanto contagiarono a Isola Rizza anche lo stesso parroco Don Agostino Cappini, gia insegnante di lettere in seminario, che si attirò le inimicizie dei tradizionalisti. Così, un vicario mandato dal vescovo presso il parroco, gia nel 1799, scrisse in curia:” vi sono individui fautori di Don Coppini e i suoi partigiani” e “grandi parti, grandi scismi e somma turbolenza occupano tutto questo paese”.(21) Con la nuova strutturazione amministrativa del 1805 Isola Rizza con altri paesi della vicaria, venne a far parte del distretto di Legnago, dove residieva il vice-prefetto. I nuovi amministratori locali incotrarono una certa difficoltà e un certo ostruzionismo da parte della popolazione per l’ avversione verso i francesi. Le tasse aumentarono e molti giovani dovettero lasciare i campi per ingrossare le file dell’ esercito Napoleonico. La stessa politica anticlericale dei francesi acuiva il malcontento. Così quando si giunse all’ insurezzione della campagna veneta nel 1809, anche il Capitano della guardia nazionale di Isola Rizza partecipò alla rivolta con un gruppo di paesani e di oppeanesi. L ‘avvento del governo austriaco portò un certo ordine e miglioramento dell’ attività produttiva. Alla fine del secolo XIX, non mancò il fenomenodella emigrazione in America, “la grande emigrazione” comune a tutto il veneto. Emigro’ una decina di famiglie. Agli inizi del 900, prima della grande guerra, buona parte della popolazione ebbe vita difficile. L’ alimentazione era spesso malsana e insufficiente; numerosi erano i casi di mortalità infantile. La coltivazione del riso diminuì di quasi un terzo e venne sostituita, nel secondo decennio dalla coltivazione del tabacco e della barbabietola.Le Barbabietole venivano portate allo zuccherificio di San Bonifacio sorto agli inizi del secolo. Nel periodo fra le due guerre le coltivazioni furono migliorate e le risaie andarono quasi scomparendo sostituite da razionali colture di cereali. Nell’ ultimo dopo guerra le colture si sono andate sempre piu specializzando, affiancate da stalle moderne e da allevamenti di tipo industriale di polli, suini e di bovini. Sebbene l’ agricoltura abbia mantenuto un ruolo primario, fin dagli anno 60 sono sorte industrie del legno, di latticini, di mezzi agricoli che si sono ingrandite assumendo un importante ruolo, non solo nell’ economia del paese, ma anche della regione. Nell’ ultimo decennio, lungo la strada “Legnaghese breve”, o favorite da questa, si sono affiancate altre numerose fabbriche (natanti, calzature, verniciatura, maglieria). Per questo la mano d’ opera assorbita proviene gran parte anche dai paesi vicini. Questo paese, così ricco di tradizioni e di interessanti documenti storici, ha dimostrato di essere fiero delle antiche origini edi aver raggiunto, grazie all’ operosità e all’ intraprendenza della sua gente, un ammirevole progresso sociale ed economico.
Aperto al pubblico
Pagina aggiornata il 13/12/2024